La settimana scorsa mi rammaricavo del fatto che non avrei potuto partecipare all'
Indietracks Festival 2018, ma a cosa servono gli amici se non a farti trovare tra i messaggi una cronaca dell'evento che rende subito la nostalgia meno pesante? Grazie dabbero al Barto (già firma di webzine italiane e titolare del blog
Roundmount) e alla sua generosità per questo dettagliatissimo report.
Polaroid dall'Indietracks Festival 2018 - di Stefano "Barto" Bartolotta
Dodicesima edizione dell’
Indietracks, sesta di partecipazione personale. Ormai la rassegna di fine luglio è una sicurezza sotto molti punti di vista: l’atmosfera, l’organizzazione degli orari sui vari palchi sempre ben strutturata e caratterizzata anche dall’agilità necessaria per cambiare gli slot in caso di emergenze logistiche, il buon cibo e la buona birra, la voglia da parte di tutti i presenti di essere il più amichevoli e positivi possibile, e la musica, naturalmente, sempre ben bilanciata tra diversi generi riconducibili all'indiepop e tra veterani consolidati, ritorni di nomi storici e giovani rampanti. Tutto è stato pienamente confermato in questo 2018,
nonostante la pioggia abbia creato un po’ di stanchezza supplementare per tutti, che si è notata soprattutto nelle nottate alla
campstite disco, molto più calme del solito. Non ha piovuto costantemente, ma il maltempo è stato presente per una parte considerevole del weekend, con punte di autentico diluvio il sabato pomeriggio. In ogni caso, non sono mancate le facce felici, le chiacchiere con gli amici di sempre e le nuove conoscenze, come dev’essere a ogni Indietracks. E non sono mancati magnifici momenti musicali, con i grandi nomi che non hanno tradito e le giovani promesse che si sono fatte valere.
Purtroppo, le citate emergenze logistiche mi hanno impedito di assistere ai tre concerti del venerdì sera, ma sabato e domenica mi sono goduto diverse ottime prestazioni musicali. I lettori saranno probabilmente curiosi dei nuovi nomi che ho scoperto, e allora inizio subito da loro. Le
Ghum provengono da Londra ma in realtà sono nate tutte in posti diversi, compresi Spagna e Brasile, e sono una sorta di versione con meno spinta ma più groove dei Desperate Journalist; i
Dream Nails sono anche loro di stanza nella Capitale e si definiscono “punk whitches” e “The Ramones meet Bikini Kill” e, in effetti, il loro bilanciamento tra noise melodia e tra carica e struttura è da ammirare; i
Life Model, da Glasgow, nonostante i diversi problemi tecnici, hanno messo in mostra la loro capacità di inserirsi con personalità nella diramazione shoegaze che fa parte dell’evoluzione di questa scena negli ultimi anni. Passando a chi ha debuttato sulla lunga distanza nel 2018, gli
Happy Accidents seguono le orme di Martha e Spook School ma non sono dei cloni, mostrando, invece, idee e personalità, mentre le
Dream Wife, da Brighton, sono probabilmente il gruppo più bello da vedere del weekend, grazie al carisma e alle qualità da performer della cantante islandese Rakel Mjöll; anche qui, comunque, le idee musicali e l’esecuzione sono ragguardevoli, con un’aggressività ragionata e ben incanalata.
Continuando coi nomi presenti sul circuito da un po’ più di tempo, non posso non citare il mio trio di preferiti del weekend. Le atmosfere uniche realizzate dal pop strumentale delle
Haiku Salut, il pop-punk sempre più esplosivo e colorato dei
Colour Me Wednesday e le armonie irresistibili degli Smittens mi hanno totalmente rapito, e lo stesso è capitato con tutti coloro che hanno assistito a questi live. Lo stesso si può dire del set in solitaria di
Darren Hayman, che ha omaggiato nell’occasione il primo disco degli Hefner,
Breaking God’s Heart, suonandolo per intero. La qualità musicale è emersa pienamente anche senza la presenza di una band, e in questa veste così essenziale, la forza evocativa dei testi si è espressa al massimo. Da parte loro, i
British Sea Power hanno onorato al meglio lo slot di headliner del sabato sera con un set espolosivo, facendo ballare, saltare e cantare tutti i presenti. È stato bello anche vedere
Emma Kupa (ex Standard Fare e ora
Mammoth Penguins più altri progetti e, da quest’anno, parte del team organizzativo), suonare con i
Let’s Whisper, per un set, anche qui, di ottimo livello.
Non è Indietracks senza uno o più ritorni di band storiche dopo molti anni di attività, e quest’anno l’onore è toccato nientemeno a due prodotti della
Sarah Records, nell'anno in cui la statunitense Emotional Response ha pubblicato alcune reissue della legendaria etichetta di Bristol e una compilation con canzoni nuove. Sia i
Boyracer che gli
Even As We Speak si sono fatti assolutamente valere, i primi con la loro proposta senza fronzoli, fatta di canzoni sparate come proiettili ma al cui interno c’è uno studio delle dinamiche non indifferente, e i secondi con la loro particolare ampiezza di idee sotto diversi punti di vista, dal songwiting all’impostazione strumentale. Da quando vado all’Indietracks, non c’è stata alcuna band della vecchia scuola che mi abbia deluso, e anche in questi due casi si è visto chiaramente che l’esperienza, nell’indiepop, è sempre un chiaro valore aggiunto, e non va a discapito dell’energia sul palco.
Insomma, gli anni passano, l’età avanza e impedisce di assistere ai concerti in modo serrato come in passato, ma impone più momenti di riposo, e il meteo non sempre è favorevole, ma l’Indietracks continua a essere un evento imperdibile, e qualcosa mi dice che sempre lo sarà.
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