A volte l'indiepop sembra un distinto signore che continua ad allacciarsi con diligenza il colletto della button-down e a tenersi i capelli ostinatamente in ordine, mentre ogni cosa intorno sta franando e vola via in un uragano. Per quanto possa essere del tutto ozioso e frivolo tentare di stipare dentro un'analogia, nemmeno troppo originale, un intero genere musicale fatto di epoche e band differenti, c'è questa impressione che non mi abbandona: la natura che la maggioranza delle persone percepisce, forse con una certa superficialità, nell'indiepop, quel suo essere anacronistico e datato, un discorso che non avrebbe nulla da dire sul presente, è invece il cuore stesso del suo slancio perdente e fragile. Gira intorno a una certa idea di dignità ostinata, di rivoluzione fatta di etica sobria, di resistenza all'apocalisse che veste solo in apparenza i panni del partito conservatore. Insomma, una continua contraddizione. Solo che invece di farla detonare, questa rivoluzione, l'indiepop deve avere deciso a un certo punto di custodirla e alimentarla al proprio interno per prolungarla nel tempo. Una brace che cova tra amori mai corrisposti, nostalgia e chitarre già cenere della Storia, un suono che brucia in una lentezza esasperante, mentre intorno folate di decenni di mode vanno e vengono, nuovi generi divampano e illuminano. L'indiepop resta lì e non se accorge quasi nessuno. Per qualcuno (e per me) quel suo restare lì, in qualche modo, è ancora importante.
Nel loro nuovo album, Watercourse, gli irlandesi Sea Pinks cantano Playin' For Pride, una piccola canzone che gira intorno all'idea di continuare a fare musica da outsider. Non spiegano cosa sia quel "pride", ma lo puoi sentire nelle scariche elettriche degli accordi, insolitamente aggressivi per il loro stile. Forse più dalle parti dei Wedding Present che degli Smiths, consueti riferimenti nelle loro recensioni. A quel sentirsi "buried alive" dentro un giro musicale sempre più soffocante (o soffocato), ognuno reagisce come può. L'orgoglio lo trovi anche dentro un suono distillato e decantato da ormai sei album in sette anni, senza fronzoli, e che in questa nuova prova raggiunge forse la sua perfezione. A tratti lievi come primaverili Housemartins, a tratti più nervosi come giovani REM, i Sea Pinks continuano e continueranno a portarsi dietro quegli aggettivi tipo "breezy", ma lo fanno ormai con una disinvoltura consumate e ammirevole. Con questo disco hanno dimostrato di avere le spalle più larghe del sarcasmo con cui qualcuno potrebbe considerare oggi l'etichetta "surf-rock" (a proposito: ma solo a me la title-track qui sembra un magnifico pezzo da primi Vampire Weekend?).
I Sea Pinks forse non diventeranno delle leggende della storia della musica, ma la consistenza e la coerenza della loro produzione per me è un altro incoraggiante mattoncino da aggiungere con un certo orgoglio al rifugio traballante e prediletto che è l'indiepop attuale.
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