Sto bene, va tutto bene ma non è un buon periodo. Sono ancora qui, sto ancora cercando di capire cosa devo fare e non mi piace. Mi ricordo bene di quando queste canzoni e questa voce laceravano i polsi, e ora ritrovo identica quell'intensità trascinante. Forse il suono sembra meno acuminato, ma va ancora pericolosamente vicino al cuore. O forse sono soltanto le cicatrici a essere diventate più spesse, tenaci, opache. Il tempo sbiadisce nell'abitudine anche la più entusiasmante tenerezza. Ma "Take me / break me" canta ancora Rachel Kenedy nel nuovo album Everybody’s Dying to Meet You, come sempre è lei, esile e irremovibile, a farsi carico di tutto il dramma nella musica dei Flowers, e io non so resisterle. Il cambio di produzione, da Bernard Butler a Brian O'Shaughnessy (già al lavoro con Primal Scream e My Bloody Valentine), ha smussato ulteriormente gli spigoli e ha giocato a riempire molti vuoti (compare anche qualche synth qua e là). Scelta comprensibile, forse anche necessaria, ma è come rendersi conto all'improvviso che passano gli anni e noi siamo ancora rimasti appesi a un'idea di noi stessi e del nostro posto nel mondo da cui facciamo fatica a separarci. "You're the hunger in me", e non so più dire se è una speranza o un'illusione. Possiamo parlare di influenze e di generi, di quanto erano belli gli Shop Assistants e quanto sia davvero persistente oggi l'estetica shoegaze. Possiamo fare ancora il nome di Elizabeth Fraser o dei Black Tambourine. Non cambierà la sostanza: questo è il secondo disco dei Flowers, e nonostante tutto quello che diremo poi, nonostante le nostre buone maniere, i tranquilli affetti, gli affabili ricordi, la nostalgia spiegata e ripiegata, continueremo a ritornare a quell'esordio e a ogni altro inizio. Quello che conta è che la musica grandiosa e perdente, la musica che fa stringere i pugni e saltare per aria è ancora custodita dentro di noi.
Flowers - Pull My Arm
Flowers - Bitter Pill
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