Silenzio e rumore di fondo
Appunti un po' noiosi per qualcosa che non scriverò mai intorno all'idea di ascoltare musica oggi

Oggi era la giornata dello sciopero dei blogger, ma non è stato questo il motivo per cui ho trascurato il blog. In realtà, per quanto condivida le proteste, le obiezioni e le preoccupazioni nei confronti di questa assurda proposta di legge, quello che ho letto in giro non mi ha convinto molto a partecipare all'iniziativa silenziosa.
Non parlerò qui di politica. Anzi, occuperò questo tardivo e logorroico post per segnalare un verbosissimo dibattito in corso tra diverse voci della stampa musicale anglosassone.
La webzine Drowned In Sound questa settimana sta pubblicando una serie di articoli sotto il titolo "Music Journalism R.I.P?".
Capisco che ci siano argomenti più profondi e urgenti là fuori, ma qui mi interessa cercare di capire il senso di un movimento, di un gesto appena. Crediamo tutti di essere motori primi e invece al massimo siamo schiuma di un'onda.
Stuart Braithwaite dei Mogwai riassume bene il passaggio dal mondo musicale conosciuto fino agli Anni Novanta a quello di oggi: "When I was younger I used to think that the only reason that Labradford sold a fraction of the amount of record Robbie Williams did was because people hadn't had the chance to hear them. I was wrong. So. Fucking. Wrong".
Dal suo tumblr, Tom Ewing commenta che, in fondo, si potrebbe dire che oggi la situazione non è così diversa: con i blog al posto della carta stampata, è cambiata solo la velocità del turnover. Insomma, i feed-rss sono il nuovo mainstream.
Il giornalista per chi parla dunque? E in che modo? Su Exclaim, Erik Casarez sentenzia: "music journalism isn't just dying; it's slowly losing its relevance".
Prendete allora il ragazzo in questo video citato dal fondatore di DiS Sean Adams: con la sua simpatica oratoria arriva a dire cose tipo "crowdsourcing killed punk rock... because crowd have awful taste" [sic]. E questo è Christopher R. Weingarten, penna di Rolling Stone, Village Voice e Idolator. Stiamo messi bene.
Capisco la frustrazione di chi rischia di perdere il lavoro, soprattutto in questa stagione in cui i magazine musicali tagliano e chiudono a ripetizione, ma nello speciale di DiS ci sono cose più brillanti e approfondite (accanto ad altre fin troppo compiaciute).
Per esempio, la situazione attuale (internet, crisi economica, iper-specializzazione del pubblico) fa emergere anche altre domande. Tim Footman si chiede con piglio wittgensteiniano: "is Greil Marcus still a critic when he's making a cheese sandwich?", portando quasi la discussione sulla stessa grammatica del "giudicare" e alle sue trasformazioni.
Del resto, proprio pochi giorni fa, sul Guardian, il sempre ottimo John Harris aveva ripercorso l'epoca d'oro del giornalismo musicale, in cui il critico era una figura venerabile e la sua parola era rispettata.
Ma contro questa idea romantica e forse anacronistica si scaglia Everett True con la solita esuberanza (e anche qualcosa di più). Salvo poi rischiare di cadere in contraddizione quando si tratta di commemorare l'amico giornalista Steven Wells, recentemente scomparso: "you write because you believe that you can change the world. If you didn't believe that, you wouldn't be writing". (Tra parentesi, qui si può leggere l'ultimo commovente articolo pubblicato da Wells).
Anche James McMahon su NME prende Wells a esempio, ma lo usa come trampolino di lancio per qualcosa di nuovo e di risaputo al tempo stesso: "See, writing about music in 2009 is war. The corporations own rock'n'roll. The careerists run the live scene. [...] Don't be a fucking idiot. Now. Pick up your pen. Write your bloody heart out. Make a fanzine, publish a blog, make a website, start a record label, form a band, fall in love"...
Si potrà, dunque, nel 2009, scrivere ancora per amore della musica, e magari anche per qualcosa di più? E quel qualcosa di più, a volte, potrà ancora essere solo una scusa, un pretesto per l'amore?

Commenti

Bdd ha detto…
oh, meno male che hai avuto tu la voglia di raccogliere tutta sta roba...
io intanto attendo fiducioso il giorno in cui moriranno i dibattiti sulla morte della critica.
e. ha detto…
probabilmente dopo si dibatterà sulla morte dei dibattiti sulla morte della critica :-)
comunque, a parte gli scherzi, quasi tutto quello che linkato mi sembra meriti almeno un'occhiata (ovvio, sempre che interessi un argomento così evanescente), perché le riflessioni intorno a questo problema toccano le riflessioni intorno a come cambia il "fare musica", e di conseguenza anche "l'ascoltare musica", che è quello che mi riguarda più da vicino.
Infine, non ho idea poi di come in Italia ci si possa confrontare con tutto questo.
ciao, e.

ps: quand'è che metti on line l'archivio della tua rubrica su BlowUp?
a. ha detto…
volendo generalizzare parlerei di morte del giornalismo (su carta) in quanto attività informativa. insomma chi legge più le news di rumore o blow up quando un blog qualsiasi ci arriva due mesi più tempestivamente? se per critica invece intendiamo la capacità di vedere "altrimenti" una scena o semplicemente parlare e intervistare un gruppo in maniera "migliore" allora nonostante la crisi della pubblicità credo che roba del genere sia viva e vegeta nelle riviste, almeno finchè un maurizio blatto non aprirà un blog o fdl si allargherà sul suo tumblr
Ndd ha detto…
eheheh:

http://www.complottoemezzo.com/index.php/headlines/2009/07/17/chi-ha-ucciso-simon-reynolds

ps. enzo come sai io sono per creare un aggregatore degli articoli scritti dalla (ex)nuovap2 sulle diverse testate ;) (complotto trasversale!)