We Are The Sleepyheads
Tra il risveglio di soprassalto nella sala d'attesa con voce inglese che avvisa il volo, e la serata a tu per tu con un noto distillato del Tennessee negli studi deserti della radio (purtroppo per voi, i microfoni erano aperti), una consistente parte di quel che rimane del mio cervello ha continuato a ripetere in modalità casuale frammenti dell'ultimo disco dei Belle And Sebastian.
Schegge di versi tradotti a orecchio, melodie appena accennate, giri e giri di chitarra, selezionati passaggi della sezione ritmica. Tutto andava e veniva, senza posa, mentre io saltavo sulle coincidenze, canticchiavo inconsapevole con la cravatta allentata e altri, forse, sapevano quello che facevano.
Sono stato poi messo al corrente che quella che credevo una modalità casuale era in realtà un sofisticato algoritmo che stava procedendo ad analizzare l'intero album The Life Pursuit alla ricerca di qualcosa che assomigliasse a un punto debole, un momento di noia, un cedimento nelle fondamenta del monumento allo stile che la banda scozzese va erigendo da ormai un decennio.
Nel frattempo, fonti esterne provvedevano a informare di altre parallele ricerche, pervenute a conclusioni quali: "bello sì ma mi aspettavo di più", o "una volta erano diversi" o anche "vacuo in maniera assoluta e spiazzante".
Amici, mi conoscete, non amo la polemica, ma [FERMA OPINIONE n.1] The Life Pursuit non ha nulla da invidiare a Tigermilk (lo sto riascoltando proprio ora), tranne forse quel figlio abbandonato che è Electronic Reinassance.
Quanto alla trattazione degli altri due album considerati sacri, If You're Feeling Sinister e The Boy With The Arab Strap, passerei direttamente alla [FERMA OPINIONE n.2]: Belle And Sebastian hanno raggiunto quello che non mi dispiace chiamare uno status per il quale ogni volta che danno alla luce un disco nuovo, questo non va più inquadrato e catalogato all'interno della loro discografia, ma si tratta di capire quale posto va a prendere quel disco nella nostra vita.
Voglio dire, considerare una classica canzone à la B&S come Another Sunny Day solo per il suo essere fatta di musica e parole non è riduttivo: è offensivo. Limitarsi a registrare le assonanze Motown di To Be Myself Completely o Funny Little Frog significa mutilarsi del senso dell'udito. Tanto quanto nascondersi sotto l'etichetta del glam rock parlando di White Collar Boy o The Blues Are Still Blue.
Queste sono canzoni che ti chiedono: dove sei mentre ci ascolti? Come sta andando tutto quanto? Come cambiano il tuo sguardo e il tuo passo mentre dietro gli auricolari fai eco alle nostre parole di "ghost figures of past, present, future haunting the heart"?
Un attimo fa stavi ballando We Are The Sleepyheads e ora all'improvviso ecco che "the beauty of the moment is the beauty sadly lost". Dannazione, ancora.
Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati? Non si può dire fossi nemmeno un kid. Del resto, era già tardi per restarci secco come a quindici anni con gli Smiths, ma non era così tardi per non capire che avevi a che fare con un gruppo-mondo al pari di quello.
Perché in questo disco "kid" è nel senso che spiega Stuart Murdoch, nel meraviglioso booklet a forma di libro: "in a seventies New York punky sense of anyone who is 'from around' and who does anything that could be considered bold and beautiful".
E se sei curioso e perdi abbastanza tempo, questa cosa del punk la senti ritornare almeno un altro paio di volte dentro The Life Pursuit. Prima con una citazione/tributo ai TV Personalities in The Blues Are Still Blue, e poi nell'ultima strofa dell'ultima canzone, Mornington Crescent, un commiato amaro e silenzioso come l'istante tra fine del pomeriggio e il crepuscolo, quando nell'ombra si percepisce più vicina la distanza di una storia che si conclude:
I was a joker, the wannabe punk that got lucky
Had a good time
Life became fruitless
Egotistic swine to all your friends
All the ladies and the men
The possibilities suggest themselves to me
We're a little too free.
Tra il risveglio di soprassalto nella sala d'attesa con voce inglese che avvisa il volo, e la serata a tu per tu con un noto distillato del Tennessee negli studi deserti della radio (purtroppo per voi, i microfoni erano aperti), una consistente parte di quel che rimane del mio cervello ha continuato a ripetere in modalità casuale frammenti dell'ultimo disco dei Belle And Sebastian.
Schegge di versi tradotti a orecchio, melodie appena accennate, giri e giri di chitarra, selezionati passaggi della sezione ritmica. Tutto andava e veniva, senza posa, mentre io saltavo sulle coincidenze, canticchiavo inconsapevole con la cravatta allentata e altri, forse, sapevano quello che facevano.
Sono stato poi messo al corrente che quella che credevo una modalità casuale era in realtà un sofisticato algoritmo che stava procedendo ad analizzare l'intero album The Life Pursuit alla ricerca di qualcosa che assomigliasse a un punto debole, un momento di noia, un cedimento nelle fondamenta del monumento allo stile che la banda scozzese va erigendo da ormai un decennio.
Nel frattempo, fonti esterne provvedevano a informare di altre parallele ricerche, pervenute a conclusioni quali: "bello sì ma mi aspettavo di più", o "una volta erano diversi" o anche "vacuo in maniera assoluta e spiazzante".
Amici, mi conoscete, non amo la polemica, ma [FERMA OPINIONE n.1] The Life Pursuit non ha nulla da invidiare a Tigermilk (lo sto riascoltando proprio ora), tranne forse quel figlio abbandonato che è Electronic Reinassance.
Quanto alla trattazione degli altri due album considerati sacri, If You're Feeling Sinister e The Boy With The Arab Strap, passerei direttamente alla [FERMA OPINIONE n.2]: Belle And Sebastian hanno raggiunto quello che non mi dispiace chiamare uno status per il quale ogni volta che danno alla luce un disco nuovo, questo non va più inquadrato e catalogato all'interno della loro discografia, ma si tratta di capire quale posto va a prendere quel disco nella nostra vita.
Voglio dire, considerare una classica canzone à la B&S come Another Sunny Day solo per il suo essere fatta di musica e parole non è riduttivo: è offensivo. Limitarsi a registrare le assonanze Motown di To Be Myself Completely o Funny Little Frog significa mutilarsi del senso dell'udito. Tanto quanto nascondersi sotto l'etichetta del glam rock parlando di White Collar Boy o The Blues Are Still Blue.
Queste sono canzoni che ti chiedono: dove sei mentre ci ascolti? Come sta andando tutto quanto? Come cambiano il tuo sguardo e il tuo passo mentre dietro gli auricolari fai eco alle nostre parole di "ghost figures of past, present, future haunting the heart"?
Un attimo fa stavi ballando We Are The Sleepyheads e ora all'improvviso ecco che "the beauty of the moment is the beauty sadly lost". Dannazione, ancora.
Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati? Non si può dire fossi nemmeno un kid. Del resto, era già tardi per restarci secco come a quindici anni con gli Smiths, ma non era così tardi per non capire che avevi a che fare con un gruppo-mondo al pari di quello.
Perché in questo disco "kid" è nel senso che spiega Stuart Murdoch, nel meraviglioso booklet a forma di libro: "in a seventies New York punky sense of anyone who is 'from around' and who does anything that could be considered bold and beautiful".
E se sei curioso e perdi abbastanza tempo, questa cosa del punk la senti ritornare almeno un altro paio di volte dentro The Life Pursuit. Prima con una citazione/tributo ai TV Personalities in The Blues Are Still Blue, e poi nell'ultima strofa dell'ultima canzone, Mornington Crescent, un commiato amaro e silenzioso come l'istante tra fine del pomeriggio e il crepuscolo, quando nell'ombra si percepisce più vicina la distanza di una storia che si conclude:
I was a joker, the wannabe punk that got lucky
Had a good time
Life became fruitless
Egotistic swine to all your friends
All the ladies and the men
The possibilities suggest themselves to me
We're a little too free.
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