Here comes the Envelopes
Here Comes the Wind, il nuovo album degli Envelopes, circolava in rete da almeno un paio di mesi, e da qualche tempo la stessa band lo aveva messo in streaming integrale, ma io avevo preferito evitare di ascoltarlo troppo presto.
Ero stato fra i più appassionati sostenitori del loro esordio Demon, e due anni fa ero anche andato in Svezia per vedermeli dal vivo. Eppure, questa volta alcuni segnali mi preoccupavano.
La data di uscita del disco continuamente posticipata non prometteva bene. Quattro canzoni e mezzo su undici in scaletta erano già uscite. Il 45 giri Smoke In the Desert, Eating the Sand, Hide In the Grass della primavera scorsa e il successivo Life On the Beach facevano intendere un netto distacco dalle sonorità che mi avevano fatto innamorare degli Envelopes...
E invece, sono felice di dirlo, Here Comes the Wind è il disco fantastico che aspettavo. Spigoloso, intelligente, imprevedibile e con un notevole senso dello humour. Proveniente da un mondo a sé, in cui gli Envelopes sembrano divertirsi un bel po'.
È vero, l'equazione "Pavement + Svezia" non è più così adatta, ma in fondo loro stessi ci avevano confessato di non averli mai ascoltati molto, i Pavement. L'amore per i Pixies invece è sempre forte, e una canzone come Heaven va oltre il semplice omaggio.
Perfino i due singoli, ascoltati qui uno dopo l'altro, nonostante mi risultino ancora abbastanza indigesti, trovano la loro giustificazione, come un riflesso acido e allucinato dei Talking Heads con annessa citazione stravolta di Bonnie Tyler: "once upon a time I was falling in love / now I'm only falling apart / totally fucked from the start".
Al centro del disco, un'accoppiata formidabile a fare da colonna portante. Prima arriva la struggente Boat, con la voce di Audrey Pic accompagnata solo dalla chitarra, quasi una versione 2008 di Your Fight Is Over aggiornata all'amore familiare: "when I saw the light I was already too far..."
E poi prende il sopravvento Put On Hold, un'accozzaglia di esperimenti con sequencer da rigattiere dove non si conclude una frase che sia una. Semplicemente entusiasmante.
A quel punto, quando esplode l'inno I'd Like 2 C U, in cui Henrik Orrling spiega "if it's like this, I think I'll never get old", realizzo che gli Envelopes hanno finalmente scritto la canzone che farà volare in mare quella tettoia davanti alla spiaggia e affondare ogni pista da ballo degna di questo nome. E alla fine, tutto ciò che è incongruo trova armonia, si ricompone e risplende, anche il vocoder di What's the Deal, anche i calci alla polvere di I'm In Love and I Don't Care Who Knows It.
Gli Envelopes sono ancora quei piccoli e acuti sabotatori del pop, folli, lucidi e divertenti che avevamo conosciuto. E io sono ancora innamorato di loro.
>>>(mp3): I'd Like 2 C U
>>>(mp3): Boat
>>>(video): Party
>>>(video): Life On the Beach
Here Comes the Wind, il nuovo album degli Envelopes, circolava in rete da almeno un paio di mesi, e da qualche tempo la stessa band lo aveva messo in streaming integrale, ma io avevo preferito evitare di ascoltarlo troppo presto.
Ero stato fra i più appassionati sostenitori del loro esordio Demon, e due anni fa ero anche andato in Svezia per vedermeli dal vivo. Eppure, questa volta alcuni segnali mi preoccupavano.
La data di uscita del disco continuamente posticipata non prometteva bene. Quattro canzoni e mezzo su undici in scaletta erano già uscite. Il 45 giri Smoke In the Desert, Eating the Sand, Hide In the Grass della primavera scorsa e il successivo Life On the Beach facevano intendere un netto distacco dalle sonorità che mi avevano fatto innamorare degli Envelopes...
E invece, sono felice di dirlo, Here Comes the Wind è il disco fantastico che aspettavo. Spigoloso, intelligente, imprevedibile e con un notevole senso dello humour. Proveniente da un mondo a sé, in cui gli Envelopes sembrano divertirsi un bel po'.
È vero, l'equazione "Pavement + Svezia" non è più così adatta, ma in fondo loro stessi ci avevano confessato di non averli mai ascoltati molto, i Pavement. L'amore per i Pixies invece è sempre forte, e una canzone come Heaven va oltre il semplice omaggio.
Perfino i due singoli, ascoltati qui uno dopo l'altro, nonostante mi risultino ancora abbastanza indigesti, trovano la loro giustificazione, come un riflesso acido e allucinato dei Talking Heads con annessa citazione stravolta di Bonnie Tyler: "once upon a time I was falling in love / now I'm only falling apart / totally fucked from the start".
Al centro del disco, un'accoppiata formidabile a fare da colonna portante. Prima arriva la struggente Boat, con la voce di Audrey Pic accompagnata solo dalla chitarra, quasi una versione 2008 di Your Fight Is Over aggiornata all'amore familiare: "when I saw the light I was already too far..."
E poi prende il sopravvento Put On Hold, un'accozzaglia di esperimenti con sequencer da rigattiere dove non si conclude una frase che sia una. Semplicemente entusiasmante.
A quel punto, quando esplode l'inno I'd Like 2 C U, in cui Henrik Orrling spiega "if it's like this, I think I'll never get old", realizzo che gli Envelopes hanno finalmente scritto la canzone che farà volare in mare quella tettoia davanti alla spiaggia e affondare ogni pista da ballo degna di questo nome. E alla fine, tutto ciò che è incongruo trova armonia, si ricompone e risplende, anche il vocoder di What's the Deal, anche i calci alla polvere di I'm In Love and I Don't Care Who Knows It.
Gli Envelopes sono ancora quei piccoli e acuti sabotatori del pop, folli, lucidi e divertenti che avevamo conosciuto. E io sono ancora innamorato di loro.
>>>(mp3): I'd Like 2 C U
>>>(mp3): Boat
>>>(video): Party
>>>(video): Life On the Beach
Commenti
Nel libretto allegato al cd, al posto dei testi delle canzoni, c'e' un lungo racconto stile collage di aneddoti della situazione in cui si sono andati a cacciare durante l'incisione del disco, isolati in una fattoria in un posto sperduto dell'Inghilterra probabilmente scelto con un dito alla cieca sulla mappa.
Ci sono diversi piccoli episodi stralunati, tipo quando hanno deciso di registrare la batteria all'aria aperta spaventando di conseguenza a morte i cavalli e facendo incazzare il fattore, cose del genere sospese tra il buffo e il malinconico.
Ed e' bello come il tono del racconto e la scelta degli aneddoti , uniti anche all'artwork all'apparenza troppo tetro, catturi no in modo perfetto l'atmosfera di cio' che si andra' poi ad ascoltare, predisponendoti al giusto mood come il piu' calibrato ed efficace dei prologhi.
(niente, tutto qui, per dire che vale davvero la pena procurarsi l'oggettino se ne avete modo)