Rough Trade Shops Indiepop 2009
"è questo che siamo?"

Rough Trade Shops Indiepop 2009Cinque anni dopo la storica prima compilation dedicata all'indiepop (qui la recensione di Indiepop.it e qui un'intervista al curatore Sean Forbes), la Rough Trade pubblica un nuovo volume dedicato al nostro sound preferito. Diverse le novità: la tracklist viene compressa a un unico cd "to reflect the financial restrictions that the current recession dictates" (?), e la selezione di nomi stavolta non ripercorre la storia del genere ma riflette lo stato dell'arte degli ultimi anni, o addirittura mesi, includendo band come Pains Of Being Pure At Heart, Los Campesinos!, Cause Co-Motion! e Love Is All. Per gli appassionati di statistica segnalo anche la presenza di Girls, Vivian Girls e Dum Dum Girls.
È facile notare che Rough Trade Shops Indiepop 2009 fotografa una scena parecchio influenzata dalla "bassa fedeltà" e da un approccio molto più punk e garage di quanto di solito si pensi. Qualcuno forse storcerà il naso.
Altra considerazione da fare: oggi, ancora meno rispetto al 2004, è difficile capire se il pubblico avverte davvero il bisogno di una organizzazione sistematica di un genere. Molti di questi gruppi finora hanno stampato solo una manciata di dischi, vinili a 45 giri in tiratura limitata. Al tempo stesso sono tutti, anche i più oscuri, facilmente reperibili in Rete, tra free download e P2P. Quali sono dunque i pro e i contro di una compilation così pensata?
Ancora non si sa nulla dell'apparato critico e del booklet che l'accompagna (quello della prima era curato a meraviglia, con contributi di Everett True e Alistair Fitchett fra gli altri), per cui sospendo il giudizio e aspetto che il cd arrivi nei negozi, il prossimo 9 novembre.

>>>(mp3): Dum Dum Girls - Longhair
>>>(mp3): Cause Co-Motion! - You Lose
>>>(mp3): Pocketbooks - Fleeting Moments
>>>(mp3): The Manhattan Love Suicides - Clusterfuck

Commenti

Anonimo ha detto…
è questo che siamo? è proprio da questa domanda che bisogna partire. Purtroppo l'indiepop ha rischiato di diventare una cosa mainstream ed ora ne stiamo pagando le conseguenze con miriade di gruppi di scarsa qualità. Ci vuole più autocritica da parte dei gruppi e più critica da parte dei giornalisti e degli addetti ai lavori (che poi è il loro lavoro..). Forse stiamo diventando vecchi, o forse, per rispondere sempre con le parole di emidio clementi siamo stanchi di novità..
e. ha detto…
Grazie del commento, anonimo. Ammetto di non avere le idee chiare come le tue. Per esempio, non sono sicuro che l'indiepop abbia mai "rischiato di diventare mainstream", sempre che una suddivisione così netta possa ancora esistere. Sono d'accordo sul fatto che l'indiepop (e non solo) ha contribuito, tra le altre cose, a rendere più popolare ciò che si presenta imperfetto, e quindi ha contribuito anche a sgretolare l'idea che esista uno e un solo modo di essere popolare, rendendo appunto mainstream e alternativo due parole un po' retrò.
Sulla qualità: forse trent'anni fa Shop Assistants e Talulah Gosh sembravano meno "di scarsa qualità"? Non credo che l'indie sia mai stato un discorso fondato sulla qualità: la bellezza può anche essere grezza. Ma in ogni caso, la questione resta: l'incessante passerella di novità musicali rende più complesso appassionarsi, decidere cosa vale e cosa no, cosa è importante anche solo per una determinata scena.
ciao, e.