Ode a un bravo guaglione


Martedì, invece di andare al concerto più polaroidabile della settimana, i Cut Off Your Hands al Barfly, ho deciso all'ultimo di rimanere a casa a guardare la Champion's League. Visto il risultato state tranquilli che non lo farò più.
Per cui oggi vi racconterò una storiella molto modesta.

Ed Harcourt è di casa a Londra.
Ieri mattina gli hanno telefonato, e gli hanno chiesto se era disponibile a sostituire una band che aveva dato forfait all'ultimo per una serata al Koko.
Lui ha detto di sì.
In Italia quelli che si fanno trovare sempre liberi anche all'ultimo minuto prontissimi a intrattenere una folla li chiamiamo con due parole: una è "Pino" e l'altra è "Insegno". Ma non divaghiamo.
Non so quanti di voi si ricordano di Ed: nel 2001 aveva esordito con l'acclamato Here Be Monsters, ed era stato indicato come una delle 52 promesse più brillanti dell'anno. Il suo stile lo si potrebbe inquadrare in un qualche modo a metà tra un Jeff Buckley e un Rufus Wainwright, ma senza gli eccessi né dell'uno né dell'altro, e con un talento non straordinario ma semplicemente, banalmente sopra la media. Io mi ero fatto conquistare da She Fell Into My Arms, allegro mid-tempo che conteneva il verso "I don't mind if I lose, 'cause if I win I'll be so confused", e me la riascoltavo con una certa frequenza.
Però lo ammetto: dopo mi sono dimenticato di lui. Tanti si sono dimenticati di lui. Ha sfornato altri dischi con una certa regolarità, ma è diventato uno di quei nomi talmente fuori dal coolness-radar che ti accorgi di lui solo quando ti capita una nuova recensione sottomano.

Ieri sera Ed è salito sul palco, ovviamente senza uno straccio di band, e senza perdere un secondo ha iniziato ad alternare pezzi alla chitarra e al pianoforte uno attaccato all'altro, roba ad alto tasso melodico, con punte di malinconia e qualche sfogo barocco.
Non ha composizioni memorabili il nostro Ed, ma semplicemente belle. E considerando che tutta la cosa è improvvisata, si barcamena da un pezzo all'altro con una naturalezza impressionante, non un attimo di indecisione, non una pausa, non un orpello o un cazzeggio fuori contesto.
In spettacoli del genere, dove la gente non è lì per te, dove in tutta la probabilità non sapeva nemmeno della tua presenza, dove si sa già in partenza che è inutile anche solo provare a coinvolgerla, le uniche cose che il filtro lascia traspirare sono talento e passione puri. E Mr. Harcourt, in un'esibizione di rara modestia confinante alla rassegnazione, dà la netta sensazione di essere uno che, volente o nolente, ha la musica nel sangue.
Non avete idea di quanto il mix di tutto ciò riesca ad essere rinfrescante.

Dopo di lui sono saliti sul palco Greg Dulli e Mark Lanegan, i Gutter Twins, raggiunti nei bis anche da Martina Topley-Bird.
Non c'era storia: Ed ne è uscito perdente.
Forse è per quello che, nonostante la precarietà della situazione, è sembrato tutt'altro che confuso.

Ed Harcourt - She Fell Into My Arms

Commenti

Anonimo ha detto…
martina topley-bird ancora sulla cresta dell'onda o chiamata anche lei per riempire un vuoto colmabile? è ancora la ragazza di tricky?
Valido ha detto…
Ha sparato qualche vocalizzo durante un solo pezzo, e c'e' da dire che insieme ai profondi bassi del Lanegan e alla grinta del Dulli formava un trio di voci da mandare tutti a casa. Poi non seguo molto il suo genere e non saprei dire, non la sentivo nominare da parecchio.