Giardini di maggio

Qualche settimana fa ho avuto l’occasione di fare quattro chiacchiere al telefono con Jukka dei Giardini Di Mirò. Dico quattro chiacchiere perché chiamarla intervista forse sarebbe peccare un po’ di presunzione: per prima cosa, il mio registratore ha smesso di funzionare dopo dieci minuti e io nemmeno me ne sono accorto. Inoltre, la telefonata si è risolta in una conversazione talmente informale (tra il Bologna ancora sopra di un gol sulla Juve e la gatta che si mangiava il cappotto) che non si può proprio dire stessi lavorando.
Forse Jukka, che come ci ricorda Giovanni, è “oltre a John Peel, l'unico uomo che riceve gratuitamente i dischi della unhip records”, meritava qualcosa di più della mezza paginetta che ho messo assieme per lo scorso numero di Zero In Condotta, ma è andata così.

Comunque era per parlare del nuovo disco dei Giardini di Mirò.
Io al telefono parto con molte pretese e gli butto lì che Punk… not diet (in uscita il 16 maggio su Homesleep) mi sembra un disco molto più “morbido” del precedente Rise and fall of academic drifting, nel senso che si percepisce un atteggiamento in linea di massima più “pop”, forse inaspettato da quelli che all’inizio erano etichettati semplicemente come “i Mogwai italiani”.
Tra parentesi, a fresco ascolto dell’ultimo lavoro degli scozzesi (benedetto Soulseek), mi sembra che i due gruppi abbiano ormai preso due strade del tutto differenti (e non c’è bisogno che vi dica quale mi pare più interessante).

Per prima cosa, Punk… not diet è quasi per intero cantato. C’è la voce di Alessandro Raina (accento sulla prima a) che, ad esempio, ti fa venire la pelle d’oca in When you were a postcard o nell’imminente singolo Given round (oops… revolution on your pins), anche se, paradossalmente, proprio questo brano è tra quelli che musicalmente si avvicinano di più al passato della formazione reggiana.

Devo chiarire qui che la conversazione con Jukka si è basata soltanto sui numeri delle tracce, perché lui sembrava abbastanza all’oscuro dei titoli che erano riportati sul promo in mio possesso e gentilmente prestato da Mastro Arturo.
Insomma, davvero la numero 4, gli dicevo io, è il prossimo singolo? Ma sai che io avrei detto la 6? (ma che razza di domanda è??)
E lui fa: scusa, quale? E io: Ma dai, The comforting of a transparent life, praticamente perfetta, dove la voce limpida si stacca dalla musica e sembrate quasi i dEUS. Anzi no, guarda, i Notwist.

Infatti la 6 (che Jukka ricorda come “You define it”) è scritta a quattro mani con Styrofoam, dopo un complicato scambio di registrazioni via posta. Si vede che quest’anno fa figo così.
Styrofoam che, trovandosi proprio con i Notwist in tour negli States, scrive ai GDM dicendo che ci sta ancora lavorando su. Magari, si augura Jukka, un giorno uscirà un singolo con tutte le versioni assieme, un documento del percorso e del lavoro che è stato fatto.

Comunque, sembrano scomparsi certi attacchi di pura rabbia come nelle vecchie Trompso is ok o Pearl Harbour. Ciò può anche non dispiacere. Di sicuro l’aggressività non mancherà dal vivo, rassicura Jukka, però su disco l’ascolto prende un’altra piega.
Te ne accorgi all’inizio della quarta traccia, Connect the machine to the lips: ci sono dei glitch, dei blip, dei bzzz bzzz che aprono alla solita tromba in stile GDM sopra arpeggio da ipnotismo. Quei rumori si innestano sul corpo di una classica canzone da Giardini e non lo abbandonano, restano in disparte per riemergere appena possibile, e in qualche modo incidono profondamente su tutto il clima.
Quegli innocenti rumorini sono prodotti da Thaddy Herrmann, di Herrmann & Kline, casa Morr. E questo può spiegare molte cose.
Il resto è davvero di qualità superiore, deliziose voci delle sorelle Brewster comprese, immerse in un paesaggio che (perdonatemi) fa subito pensare all'Islanda...
Questa sera impedibile anteprima assoluta delle nuove canzoni dal vivo al Container di Bologna, ore ventidue. Ci si vede là.

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